Estratti da Risguardi: Mondo Manga

Intervista a Cristian Posocco, publishing manager di Star Comics.
A cura di Livia Del Pino.

Secondo te perché c’è una certa riluttanza ad avvicinarsi alla letteratura manga da parte di lettori forti e di alcuni librai?

Uno dei miei colleghi, che si occupa della relazione con le librerie, ha avuto all’inizio lo stesso problema. Anche lui ha vissuto l’invasione del manga con sgomento: non li capiva. Ora, anche se sono un po’ fuori dalla sua personale sensibilità, si è convinto che i contenuti del manga sono quelli della letteratura del suo complesso. Il manga è uno di quei pochi generi in grado di raccontare l’uomo a 360°. Certo, sono prodotti che nascono nella società giapponese, pensati per un pubblico giapponese e quindi realizzati con una sensibilità, un’estetica, una cultura molto diversa dalla nostra, anche se insospettabilmente simili per certi versi, ma comunque con dei riferimenti che a noi mancano, anche a livello tecnico. Seguono regole grafiche, di sceneggiatura e struttura del racconto che sono diverse. Nel mondo occidentale, da Shakespeare in poi, tendiamo a parlare di una narrativa strutturata in tre atti. In Giappone, invece, si utilizza una forma in quattro atti che deriva dalla drammaturgia della poesia cinese classica, in cui all’introduzione, alla conclusione e allo sviluppo si aggiunge anche un momento di svolta. Non che la svolta non ci sia nella letteratura occidentale, ma sicuramente non è un passaggio codificato in modo specifico. Il manga è una forma d’arte di cultura molto alta secondo me. Penso che sia riduttivo pensare che l’immagine tolga al testo, il fumetto non è il cugino povero della prosa, è piuttosto un fratello che fa cose diverse in modo diverso. Leggere il fumetto è effettivamente difficile perché bisogna far funzionare in sintonia due aree cerebrali diverse. E poi ci sono i vuoti da riempire, cioè ciò che non viene mostrato e ciò che non viene scritto. Che poi è la parte più interessante.
Mi è poi capitato di ascoltare commenti negativi sulla qualità del disegno del manga. “Sono brutti”. Ma in realtà è la sensibilità a essere diversa. È come se noi andassimo a prelevare un contadino di mezza età da un villaggio cinese e lo portassimo a mangiare la selezione dei migliori formaggi nei migliori ristoranti di Parigi. Sicuramente racconterebbe che ha mangiato male, perché gli stiamo dando qualcosa che non è di suo gusto, che è stata fatta con ingredienti che non fanno parte della sua cultura, con preparazioni diverse: il formaggio in Europa è un prodotto derivato da animali che seguono i pastori, è un cibo nato storicamente dalle popolazioni nomadi. È trasportabile e conservabile. In Asia invece la cagliata è quella della soia, perché in Asia la produzione principale dei villaggi era il riso, una coltivazione stanziale. Si può dire che uno è buono e l’altro non lo è?
A volte viene criticata poi la poca accuratezza di alcuni disegni, dal punto di vista dell’anatomia, della prospettiva, dei volumi. Ma ci sono anche grandi disegnatori occidentali che deformano i volumi, le prospettive, le anatomie. E nel manga questa deformazione deriva da finalità espressive: serve per raccontare con la sola immagine emozioni e azioni senza dover ricorrere al testo. È un approccio diverso. Alcuni disegnatori giapponesi comunque sono estremamente attenti anche all’accuratezza. Pensiamo a Miyazaki, famoso anche come regista; nel suo Nausicaä della Valle del vento la ricerca della perfezione è evidente.

Cosa consiglieresti di leggere a un libraio o a una libraia che vuole avvicinarsi al mondo del manga di oggi?

Per capire sviluppo, storia e genesi del manga è necessario leggere un Tezuka [considerato da molti il “padre del manga”, ndr]. Ma se di punto in bianco c’è l’urgenza di capire il mondo del manga oggi, la cosa migliore è partire dai bestseller. Io consiglio tantissimo My Hero Academia, perché è il più completo, con più ganci con il fumetto occidentale (l’autore si ispira e omaggia il fumetto supereroistico americano, declinandolo però alla giapponese). Al tempo stesso contiene tutti quelli che sono i topoi forti della narrativa per ragazzi giapponese, come l’impegno e il sacrificio. Non ci sono eroi nella cultura giapponese che primeggiano grazie al solo talento: il talento viene forgiato da studio e allenamento intensissimi. Ci sono forti componenti educational nei manga giapponesi, dei modelli positivi: devi impegnarti, non puoi dare le cose per scontate. Al tempo stesso, dal lavoro del singolo ne riceve beneficio la collettività, e anche questo è molto confuciano. Molto spesso invece nelle favole occidentali si esaltano furbizia, tornaconto personale, inganno. In My Hero Academia il concetto di collettività è particolarmente forte, così come anche il messaggio dell’ultimo, quello che non ha poteri, quello che è nato lento ma che riesce comunque ad arrivare dove arrivano gli altri grazie a purezza d’animo, motivazione, rettezza. Se uno riesce a seguire tutta la narrazione della serie, si trova di fronte anche a una splendida metafora della crescita dei giovani lettori, perché si parte dalla prima adolescenza, e quindi da toni abbastanza scanzonati, fino a raggiungere toni drammatici, dove l’ingresso nell’età adulta porta i protagonisti di fronte a situazioni nelle quali è necessario assumersi delle responsabilità importanti.
In più, My Hero Academia graficamente mostra appunto quello che dicevo prima riguardo alla simbologia del manga, che deve far percepire subito emozione, movimento e pensieri dei personaggi, anche attraverso un’accurata regia del montaggio, proprio come al cinema.
Dal punto di vista del montaggio, consiglio anche di leggere Tatsuki Fujimoto (autore di Fire Punch, Chainsaw Man, Look Back e Goodbye, Eri), un appassionato di cinema che dal cinema viene, dal quale ha preso il linguaggio che mette in gioco nel manga.

Trovate l’intervista completa all’interno di Risguardi.

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